Testi teorie della razza

Testi

 

Testo n.1 – Voltaire

François Marie Arouet Voltaire, Essai sur les moeurs et l’esprit des nations, in Gliozzi, La scoperta dei selvaggi, Principato, pp. 194-95

«Si era riscontrato che nell’Indostan vi erano razze di uomini gialli. I neri, distinti a loro volta in parecchie specie, si trovano in Africa e in Asia abbastanza lontani dall’equatore; e quando poi si penetrò in America fin sotto la linea dell’equatore, si vide che la razza è colà abbastanza bianca. Gli indigeni del Brasile sono del colore del bronzo. I Cinesi sembravano ancora una specie interamente differente per la conformazione del naso, degli occhi e degli orecchi, per il colore e forse per l’ingegno: ma ciò che si deve sottolineare maggiormente è che, in qualunque regione queste razze siano trapiantate, non cambiano affatto se non si mescolano agli indigeni del paese. La membrana mucosa dei negri, che è stata trovata nera ed è la causa del loro colore, è una prova manifesta del fatto che vi è in ciascuna specie di uomini, come nelle piante, un principio che le differenzia dalle altre. La natura ha subordinato a questo principio quei differenti gradi di ingegno e quei caratteri delle nazioni che vediamo cambiare così raramente. Per questo i negri sono schiavi degli altri uomini. Vengono acquistati sulle coste dell’Africa come bestie, e quelle masse di negri, trapiantati nelle nostre colonie d’America, servono un ristrettissimo numero di europei. L’esperienza ha inoltre dimostrato quanta superiorità abbiano gli europei sugli americani che, facilmente vinti dappertutto, non hanno mai osato tentare una rivoluzione, per quanto fossero più di mille contro uno. […] Se fu uno sforzo della filosofia a far scoprire l’America, non lo è altrettanto domandarsi tutti i giorni com’è possibile che si siano trovati uomini in quel continente e chi ve li ha portati. Se non ci si stupisce che vi siano mosche in America, è stupido stupirsi che vi siano uomini. Il selvaggio che si crede un prodotto del suo clima, come la sua alce o la sua radice di manioca, non è più ignorante di noi a questo proposito, e ragiona meglio. In effetti, dal momento che il negro d’Africa non trae la sua origine dai nostri popoli bianchi, perché i rossi, gli olivastri, i cinerini dell’America dovrebbero provenire dalle nostre contrade? […] Non ci si sogna di pensare che i bruchi e le chiocciole di una parte del mondo siano originarie di un’altra parte; perché stupirsi che vi siano in America alcune specie di animali, alcune razze di uomini simili alle nostre?»

 

Testo n.2 – Hume

Cit. in Stephen J. Gould, Intelligenza e pregiudizio, Ed. Riuniti, p 31

«Non ci fu mai una nazione civilizzata né alcun eminente individuo sia nell’azione che nel pensiero, che non avesse carnagione bianca. Nessun ingegnoso fabbricante tra loro, né arti né scienze. […] Una tale uniforme e costante differenza non poteva verificarsi in così tanti paesi ed età se la natura non avesse operato un’originaria distinzione tra queste varietà di uomini. Senza menzionare le nostre colonie, ci sono schiavi negri sparsi in tutta Europa, nessuno dei quali ha mai manifestato alcun sintomo di ingegnosità, sebbene le persone inferiori e senza istruzione possano emergere tra noi e distinguersi in ogni professione. In Giamaica parlano di un negro come di un uomo di affari e di cultura: ma probabilmente egli è ammirato per qualità molto scarse, come un pappagallo che dice chiaramente alcune parole».

 

Testo n.3 – Agassiz

Stephen J. Gould, Intelligenza e pregiudizio, Ed. Riuniti, p. 35

«[…] Mi è difficile descriverti la penosa sensazione che questi mi hanno suscitato, specie perché il sentimento che mi ispiravano è contrario a qualsiasi principio di fratellanza del genere umano e di origine unica della nostra specie. Ma la verità prima di tutto. […] Mi è impossibile reprimere la sensazione che essi non siano del nostro stesso sangue. Vedendo le loro facce nere, le loro labbra carnose, i loro denti, la loro capigliatura lanosa, le loro ginocchia storte, le loro lunghe mani con grandi unghie curve, e specialmente il livido colore delle loro palme, non potevo staccare gli occhi dai loro volti e ordinar loro di stare lontano da me. E quando allungavano quella mano ripugnante verso il mio piatto per servirmi, avrei voluto scappare lontano a mangiare un pezzo di pane piuttosto che cenare con un tale servizio. Che infelice scelta per la razza bianca aver legato, in certi paesi, la propria esistenza a quella dei negri! Dio ci salvi da un tale contatto».

 

Testo n.4 – Agassiz (“ciascuna razza o specie”)

Stephen J. Gould, Intelligenza e pregiudizio, Ed. Riuniti, p. 31

«[…] Ci sembra falsa filantropia e falsa filosofia assumere che tutte le razze abbiano le stesse abilità, apprezzino gli stessi poteri e mostrino le stesse disposizioni naturali e che in conseguenza di questa eguaglianza esse abbiano diritto alla stessa posizione nella società umana. La storia parla da sé. […] Questo compatto continente d’Africa mostra una popolazione che è stata in costante relazione con la razza bianca, che ha apprezzato il beneficio dell’esempio della civiltà egiziana, fenicia, romana ed araba […] e tuttavia non vi è mai stata una società regolata dai neri sviluppata in quel continente. Non indica ciò una peculiare apatia, in questa razza, una peculiare indifferenza ai vantaggi offerti dalla società civilizzata?».

 

Testo n. 5 – Darwin

Charles Darwin, L’origine dell’uomo, Newton Compton, pp. 164-168

«I resti di tribù estinte e dimenticate sono stati scoperti in regioni della terra civilizzata, nelle pianure selvagge dell’America, nelle solitarie isole dell’oceano Pacifico. Attualmente le nazioni civili stanno ovunque soppiantando quelle barbare a eccezione dei luoghi in cui il clima oppone una barriera mortale; e hanno successo soprattutto, anche se non esclusivamente, per le loro tecniche, prodotto dell’intelligenza. E’ perciò molto probabile che, per quanto riguarda il genere umano, le facoltà intellettive si siano venute principalmente e gradualmente perfezionando mediante la selezione naturale. […] Sebbene la civiltà freni in molti modi l’azione della selezione naturale, apparentemente favorisce il migliore sviluppo del corpo, per mezzo di buoni cibi e dell’assenza di avversità occasionali. Questo può essere dedotto dal fatto che l’uomo civilizzato, ovunque si sia compiuto il confronto, è stato scoperto fisicamente più forte del selvaggio. Esso appare anche in possesso di eguali capacità di resistenza, come è stato provato in molte avventurose spedizioni.[…] Considereremo ora le qualità intellettuali. Se in ciascun grado della società i membri fossero divisi in due gruppi uguali, l’uno comprendente i membri intellettualmente superiori e l’altro quelli inferiori, non vi sarebbe dubbio alcuno che il primo avrebbe il miglior successo in tutte le occupazioni e l’ultimo un maggior numero di figli. Anche nel più basso livello di vita, la capacità e l’abilità possono essere di qualche vantaggio, sebbene in molte occupazioni, dovute alla grande divisione del lavoro, sia assai piccolo. Perciò nelle nazioni civili vi sarà una certa tendenza a incrementare sia il numero che il livello delle capacità intellettuali. […] I notevoli successi degli Inglesi come colonizzatori, in confronto con le altre nazioni europee, sono stati ascritti alla loro “energia audace e persistente”; un risultato che è stato ben evidenziato paragonando il progresso dei canadesi di estrazione inglese e francese; ma chi può dire come gli inglesi abbiano acquistato la loro energia? Vi è apparentemente molta verità nell’idea che i meravigliosi progressi degli Stati Uniti e il carattere di questo popolo siano il risultato della selezione naturale; infatti i più energici, irrequieti e coraggiosi uomini di tutte le parti dell’Europa sono emigrati durante le ultime dieci o dodici generazioni in questo grande paese e vi hanno avuto il migliore successo. Guardando al lontano futuro, non penso che il reverendo Zincke sostenga un’ipotesi esagerata quando afferma:-Tutte le altre serie di eventi, come della civiltà spirituale della Grecia o quella dell’Impero romano, sembrano avere un significato e un valore solo se pensate in connessione, o piuttosto come sussidiarie, alla granmde fiumana dell’emigrazione anglo-sassone in occidente.- Per oscuro che sia il problema dell’avanzamentoo della civiltà possiamo almeno vedere che una nazione che ha prodotto per un periodo prolungato il massimo numero di uomini di maggiore intelletto, energici, coraggiosi, patriottici, generosi, generalmente dovrebbe prevalere sulle nazioni meno favorite.[…] Per quanto riguarda le nazioni altamente civilizzate, il continuo progresso dipende, a un livello subordinato, dalla selezione naturale; infatti tali nazioni non si sopraffanno e sterminano l’un l’altra come fanno le tribù selvagge. Ciononostante i membri più intelligenti, all’interno della medesima comunità, avranno maggior successo a lungo andare che non i meno intelligenti e avranno figli più numerosi, e ciò è una forma di selezione naturale».

 

Testo n.6 – Spencer (“tutto viene ricondotto all’evoluzione naturale”)

Herbert Spencer, Principi di sociologia, Utet, pp. 21-23; 51-52;810-17

«La lotta per l’esistenza, combattuta in tutto il mondo animale, è stata una delle vie indispensabili per l’evoluzione. Non solo vediamo che nella concorrenza fra individui della stessa specie, la sopravvivenza del più adatto ha favorito fin dal principio la produzione del tipo più elevato, ma vediamo pure che lo sviluppo e l’organizzazione sono dovuti alla guerra continua fra le specie. Senza il conflitto universale non vi sarebbe stato sviluppo dell’energia attiva.[…] Lo stesso vale per gli organismi sociali. Siamo costretti a riconoscere che le lotte per l’esistenza fra le società hanno contribuito alla loro evoluzione. Senza conflitti tra tribù o tra nazioni non si sarebbero consolidati né riconsolidati i piccoli gruppi in grandi gruppi, né si sarebbero organizzati i gruppi composti e doppiamente composti, né avrebbero avuto luogo gli sviluppi corrispondenti di quegli stimoli a una vita più elevata che son propri della civiltà. […] Nella misura in cui l’evoluzione politica progredisce, diventa un carattere delle società più vaste e più forti l’ambizione che le spinge a sottomettere e assorbire le società più deboli. […] In stati più avanzati, la lotta fra le società non si fa perché l’una voglia impadronirsi dei mezzi di sussistenza dell’altra, ma perché l’una tende a conquistare l’altra. La questione che allora si fa è quale società incorporerà le altre. Sotto un certo aspetto la storia delle grandi nazioni è una storia dei successi in queste lotte; e fino ai giorni nostri si sono vedute nazioni ingrandirsi in questo modo.[…]

Dovunque gli individui riuniscono le loro azioni per un fine comune che non sia assolutamente semplice, sorge spontaneamente una certa divisione del lavoro. […] La selezione naturale delle occupazioni ha per sua causa primaria certe differenze originarie fra gli individui che sono in parte fisiche, in parte psichiche. Per amor di brevità chiameremo questa causa psicofisiologica. […] Tra le divisioni del lavoro dovute ai caratteri psicofisici si deve notare l’attribuzione delle occupazioni inferiori alle classi servili. Questa qualche volta incomincia indipendentemente dalla coazione. Riguardo ad alcuni giapponesi che uccidono e scorticano cavalli, Adams scrive: -Vi erano inoltre due gruppi di popolo anche al di sotto di questi (fittavoli, ecc.) nella scala sociale: gli eta e gli hinin. Gli eta erano una classe di reietti che vivevano in villaggi e distretti separati, lontani dal complesso della popolazione, con la quale non era loro permesso avere relazioni matrimoniali. I loro mezzi di sussistenza consistevano nel conciare le pelli e farne cuoio. Il lavorare con il cuoio preparato non si considerava contaminazione, ma era il maneggiare le pelli scorticate che si considerava tale -. Che l’incapacità a un lavoro più elevato conducesse a questa spacializzazione è un’opinione che accoglieremo prontamente, se ricordiamo che anche tra noi la classe dei “vuotacessi”, ancora esistente, io credo, in molti luoghi, deve essersi formata dagli individui inferiori, perché soltanto quelli che non saprebbero mantenersi altrimenti si dedicherebbero a un’incombenza così disgustosa“».

 

Testo n.7 – Büchner

Ludwig Büchner, Forza e materia, in Materialisti dell’Ottocento, Il Mulino, pp. 213-18

«Dalla comparazione dei crani trovati nello strato terrestre e delle statue dell’antichità con le teste dell’attuale generazione, risulta che il cranio degli europei è ingrossato nei tempi storici. L’abate Frère ha fatto a Parigi degli studi interessantissimi e assai importanti sopra questo oggetto, i quali provano che quanto più un tipo umano è antico e primitivo, altrettanto è sviluppato nella regione occipitale e depresso nella frontale; sembra quindi che i progressi dell’incivilimento abbiano fatto elevare la parte anteriore del cranio colla depressione della posteriore, sviluppo che nelle sue verie fasi è pienamente dimostrato dalla ricca collezione dell’abate stesso. Un risultato simile ci è fornito dalla comparazione della forma del cranio delle alte e delle basse classi della società attuale. I cappellai sanno che la classe più colta ha bisogno di cappelli più grandi di quella degli ignoranti. Parimenti si nota giornalmente che la fronte e le sue parti laterali sono meno sviluppate nelle classi inferiori che nelle elevate.

L’inferiorità intellettuale delle donne rispetto agli uomini è un fatto conosciuto. Peacock trovò che il peso medio del cervello dell’uomo era un po’ più considerevole di quello della donna, perché il primo è di 50 once e il secondo di 44. Le ricerche di Geis, medico dell’ospedale di Norimberga, citato da Bibra, danno gli stessi risultati. Il dottor Hoffmann, che ha pesato da 60 a 70 cervelli, dice che le sue osservazioni ebbero per risultato che il cervello della donna è, in media, di due once più leggero di quello dell’uomo. Lauret, che ha misurato la testa di duemila persone, ha trovato che il diametro medio della circonferenza della testa della donna, come pure quello delle altre parti della testa, è sempre inferiore a quello degli uomini. Comparando, sotto il rapporto dell’intelligenza, i cervelli umani fra di loro e nello stato di sanità e malattia si avrebbe lo stesso risultato

Le differenze corporali e intellettuali che presentano le razze umane tra loro sono generalmente note. Perciò su questo argomento non diremo che poche parole. Chi non ha veduto in immagine o in natura il cranio di un negro senza compararlo al cranio più voluminoso della razza caucasica e senza notare la grandissima differenza che esiste fra la nobile forma di questo e la fronte bassa e stretta di quello, che ha così grandi attinenze con la scimmia? Chi ignora l’inferiorità intellettuale della razza etiopica e il suo stato di perpetua infanzia in paragone della razza bianca? Il cervello del negro è molto più piccolo di quello europeo e soprattutto simile a quello dell’animale per le sue poco numerose anfrattuosità. […] Gli indigeni della Nuova Olanda, che sono quasi privi delle parti superiori del cervello, mancano di ogni attitudine intellettuale né hanno sentimento artistico o facoltà morale; in ciò perfettamente conformi ai Caraibi; talché furono vani tutti i tentativi degli inglesi per civilizzarli. Parimenti gli indiani d’America, il cui cranio è piccolo e singolarmente conformato, hanno un carattere selvaggio e feroce e resistono a tutti i tentativi di civilizzazione: i progressi degli europei non servono che a sterminarli».

 

Testo n.7b – Lombroso

Cesare Lombroso, L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline carcerarie, in Grande Antologia filosofica, Marzorati, Milano, 1976, vol. XXIV, pagg. 130-131

Secondo Cesare Lombroso la criminalità ha radici nella struttura anatomica dell’individuo. Egli analizza a questo proposito varie parti del corpo. La sua teoria entrò in crisi con la Prima guerra mondiale, che mise in evidenza quanto fosse piú influente il fattore ambiente.

Uno studio antropologico sull’uomo delinquente, e particolarmente di quella sua varietà che chiamiamo delinquente – nato, deve di necessità prendere le mosse dai primi caratteri fisici fondamentali che si rilevano alla tavola anatomica, per passare a quelli che si riscontrano nei viventi. Ma la grande massa degli esaminati e la ristrettezza dello spazio, ci consigliano a darne solo un riassunto sommario.

1) La capacità cranica dei criminali misurata con pallini di piombo offre in media cifre inferiori alle normali, e con una seriazione diversa, cioè con un maggior numero di grandi, 1600-2000 c.c., e di piccole, 1100-1300 c.c., capacità: eccedono cioè nel troppo o nel troppo poco sugli onesti e sono inferiori sempre nelle cifre medie. Vi è prevalenza di capacità minime nei ladri; e quando le grandi capacità dei rei non sono effetto di idrocefalia, sono spesso giustificate da un’intelligenza maggiore del normale come in certi capibriganti: Minder-Kraft c.c. 1631, Pascal 1771, Lacenaire 1690.

Quanto alla circonferenza cranica i criminali sono nelle quote minime press’a poco pari o di poco superiori ai normali; nelle quote superiori manca ogni cifra nei ladri, e gli assassini sono o pari o superiori ai normali.

Cosí pure le cifre della semicirconferenza cranica anteriore e posteriore, della proiezione anteriore degli archi e delle curve craniche provano il maggior volume del cranio normale in confronto al criminale.

Tra i diametri, oltre al traverso ed al longitudinale che servono alla determinazione dell’indice cefalico, è importante il diametro frontale minimo ch’è inferiore nei criminali per rispetto ai normali e piú basso nei truffatori e borsaiuoli; esso rivela quindi, come la semicirconferenza cranica anteriore, il minor sviluppo della porzione frontale del cervello nei criminali.

I criminali presentano l’esagerazione degli indici etnici senza predominio dell’una o dell’altra forma in essi e secondo i vari reati. Etnicamente prevalgono i brachicefali nell’Italia settentrionale, i dolicocefali nell’Italia meridionale e insulare; è caratteristica l’iperdolicocefalia nella Sardegna, nella Garfagnana e Lunigiana (Lucchesia), nella Calabria e in Sicilia, e l’ultrabrachicefalia nel Piemonte e nel Veneto; però gli assassini avrebbero in molte regioni d’Italia l’indice cefalico piú elevato.

 

Testo n.8 – Brunetière

Brunetière, L’idée de patrie, cit. in A. De Bernardi, S. Guarracino, L’operazione storica, Edizioni Scolastiche, Milano 1987, III, I, pp. 644-45

L’idea di patria ha per prima cosa un fondamento naturale e, per così dire, una base fisiologica e fisica; ma ha anche una base tradizionale, un fondamento storico; e infine, non abbiamo paura di dirlo, ha un fondamento mistico, senza il quale essa potrebbe benissimo essere una società di assicurazioni o di mutuo soccorso, che sono d’altra parte istituzioni utili e lodevoli ma non sono la grande cosa, la cosa santa e sacra che essa è. […] Ci sono cose che non cambieranno e non possono cambiare; l’idea di patria è una di queste. […] Ubi bene, ibi patria dicono gli individualisti; e la storia risponde loro: Ubi patria, ibi bene; là dov’è la patria, solo là la vita vale veramente la pena di essere vissuta, poiché solo là possiamo sviluppare tutte le nostre attitudini. Come per il bambino c’è la possibilità di crescere solo sotto la protezione della famiglia, l’uomo possiede quella di svilupparsi solo a condizione che esista la patria; ed è ciò che io chiamo il fondamento e la base fisica dell’idea di patria. […] Una patria è anche una storia.[…]

Avere una storia è aver vissuto davvero; se è aver provato volta a volta l’una e l’altra sorte e assaporato forse tanti dolori quante gioie; se è aver conosciuto l’ebbrezza della vittoria e il lutto della disfatta; se è poter rivivere nell’immaginazione o, diciamo meglio, se è come sentir colare nelle proprie vene la memoria fluida di tutto un passato glorioso, oh! allora, Signori, ben lungi dall’invidiarli, compiangiamo i popoli che non hanno storia. […] Quando si è provato che l’idea di patria traeva la sua giustificazione logica dalla natura e dalla storia, bisogna però che essa abbia altrove il suo principio di fecondità. Questo significa che quel legame così forte che lega gli uni agli altri tutti i figli dello stesso suolo non è l’interesse né le circostanze che l’hanno formato, non è l’abitudine o il costume; è l’istinto. E che cos’è l’istinto se non la testimonianza o la prova di qualcos’altro da noi che vive e agisce in noi? Est Deus in nobis, agitante calescimus illo. Stiamo attenti, dunque! Sono quasi cento anni, o anche più, che ci si picca di non ammettere ciò che non sia, come si è detto, ‘conforme alla ragione’. Ma appunto ci sono delle parti intere della nostra attività che sfuggono alla ragione, ed è per questo che sbaglieremmo a confidare interamente in essa. […] [all’idea di patria] voi vedete bene che ci è necessario dare un fondamento ‘irrazionale’ e perciò mistico.

 

Testo n.9 – Maurice Barrès

Maurice Barrès, Scènes et doctrines du nationalism, cit. in A. De Bernardi, S. Guarracino, L’operazione storica, Edizioni Scolastiche, Milano 1987, pp. 647-648

Il nostro male profondo è di essere divisi, agitati da mille volontà particolari, da mille immaginazioni individuali. Siamo spezzettati, non abbiamo conoscenza comune del nostro scopo, delle nostre risorse, del nostro centro. Fortunate quelle nazioni in cui tutti i movimenti sono collegati, in cui gli sforzi si accordano come se fosse stato elaborato un piano da un cervello superiore. […] Certe razze arrivano a prendere coscienza di se stesse organicamente. E’ il caso delle collettività anglosassoni e teutoniche, che sono, sempre di più, sulla strada di crearsi come razze. Ahimè, non c’è una razza francese, ma un popolo francese, una nazione francese, cioè una collettività di formazione politica. Sì, sfortunatamente, rispetto alle collettività rivali e necessariamente nemiche nella lotta per la vita, la nostra non è arrivata a definirsi a se stessa. […] Per creare una coscienza nazionale, dovremo associare questo intellettualismo sovrano di cui gli storici ci danno il metodo con un elemento più incosciente e meno volontario. […] Questa voce degli antenati […] niente vale di più per formare la coscienza di un popolo. La nostra terra ci dà una disciplina e noi siamo i prolungamenti dei nostri morti. Ecco su quale realtà dobbiamo fondarci. Che per permettere alla coscienza di un paese come la Francia di emergere, sia necessario radicare gli individui nella terra e nei morti, sembra una concezione molto materiale a persone che credono di aver raggiunto un ideale tanto più elevato quanto più esse hanno saputo soffocare in se stesse la voce del sangue e l’istinto della provincia d’origine. Ma quali splendidi risultati sociali, quali nobili individualità si otterrebbero traendo dal principio che stabilisce tutte le conseguenze legislative necessarie. […] L’amministratore e il legislatore possono ispirarsi a questo grande principio: la patria è più forte nell’anima di un uomo che possiede delle radici che in quella di uno sradicato.

 

Testo n.10 – Györg Lukacs

Györg Lukacs, La distruzione della ragione, Einaudi, Torino 1959, p. 707

L’unione dello spirito ariano con lo spirito ebraico, e di entrambi con le follie del ‘caos etnico’ privo di senso nazionale e di fede, costituisce il grande pericolo. Lo spirito giudaico, se fosse stato accolto nella sua purezza, non avrebbe potuto fare tanto male e per tanto tempo […] sennonché ha avuto luogo una infiltrazione dello spirito ebraico nel nobile mondo della simbolistica indo-europea e della libera e varia forza creatrice; simile al veleno onde è intinta la freccia del selvaggio sudamericano, questo spirito è penetrato, irrigidendolo, in un organismo che ha vita e bellezza solo nel mutamento delle sue forme. […] Insieme questo spirito dogmatico ha proclamato come eterno elemento costitutivo della religione la più sciocca e ripugnante superstizione di miseri schiavi; ciò che prima era stato buono per l’uomo comune (come pensa Origene) o per gli schiavi (come dice Demostene in tono di scherno)dovette ormai essere creduto dagli spiriti superiori per la salvezza della loro anima.

 

Testo n.11 – Otto Weininger

Otto Weininger, Sesso e Carattere, citin A. De Bernardi, S. Guarracino, L’operazione storica, Edizioni Scolastiche, Milano 1987, pp. 659 e segg.

Il fatto che l’idea dello Stato, non solo da ieri, ma da sempre, sia estranea all’ebreo ci spinge fin d’ora a credere che a lui come alla donna manchi la personalità: supposizione che poi troveremo confermata dai fatti. Che la mancanza di socialità degli ebrei, come quella femminile, non si può derivare che dall’assenza dell’Io intellegibile. Gli ebrei, al pari delle donne, stanno volentieri assieme ma non hanno rapporti vicendevoli quali esseri indipendenti, separati l’uno dall’altro, sotto il segno di un’idea sovraindividuale. Come in realtà non esiste una ‘dignità’ femminile, altrettanto impossibile è immaginare un ‘gentleman’ ebreo. L’ebreo genuino manca di quella distinzione interna che ha come conseguenza la dignità dell’Io proprio e la stima dell’altrui; non esiste ‘nobiltà’ ebrea. […] Ciò che manca totalmente sia alla donna che all’ebreo è la grandezza, in qualsivoglia senso la si prenda, sotto l’aspetto di grande vittoria morale o di servilismo profondo verso l’immoralità […] Nell’ebreo il bene e il male non sono ancora differenziati, come non lo sono nella donna; non si ha infatti un omicida ebreo, ma neppure un ebreo santo.

[…] Gli ebrei non vivono dunque come individualità libere, padrone di se stesse, capaci di scegliere fra la virtù e il vizio, come gli ariani. […] L’ebreo genuino, come la donna genuina, vive solamente nella specie, non come individualità. […] Eppure proprio qui l’ebraismo e la femminilità discordano decisamente: Il non-essere e poter-diventare-tutto sono diversi per la donna e per l’ebreo. La donna è la materia che assume passivamente ogni forma. Non si può invece disconoscere che nell’ebreo esista una certa aggressività; egli non diventa ricettivo per la grande impressione prodotta su di lui da altri, egli non è più suggestionabile dell’ariano; ma sa adattarsi da solo alle diverse circostanze e necessità, a ogni ambiente e a ogni razza. Rassomiglia al parassita che si trasforma a seconda di chi lo ospita e assume un aspetto così diverso che si crede di avere a che fare con un nuovo animale, mentre è rimasto sempre lo stesso.

[…] Il nostro tempo, che non è soltanto il più ebraico ma anche il più femmineo; il tempo in cui l’arte non rappresenta che un sudario dei suoi umori, che ha derivato l’impulso artistico dai giochi animaleschi; il tempo dell’anarchismo più credulo, senza comprensione per lo stato e per il diritto; il tempo dell’etica della specie; il tempo della più superficiale concezione della storia (il materialismo storico); il tempo del capitalismo e del marxismo; il tempo per il quale la storia, la vita e la scienza non significano più nulla se non economia e tecnica; il tempo che ha dichiarato il genio una forma di pazzia, che però non possiede più neppure un solo grande artista e filosofo, il tempo della minore originalità e della maggior caccia all’originalità; il tempo in cui al posto dell’ideale della verginità si è posto il culto della demi-vièrge; questo tempo ha anche la gloria di essere il primo che, non contento di aver affermato e adorato il coito, l’ha elevato quasi a dovere; non per perdere se stessi, come i Romani e i Greci nei Baccanali, ma per ritrovare se stessi e per dare un contenuto alla propria vacuità.

 

Testo n.12 – Édouard Drumont

Édouard Drumont, France juive, cit. in A. De Bernardi, S. Guarracino, L’operazione storica, Edizioni Scolastiche, Milano 1987, pp. 308-330

Tutte le nazioni dell’Europa, come si vede, sono collegate da vincoli strettissimi alla razza ariana, da cui sono uscite tutte le grandi civiltà. […] La razza ariana o indoeuropea è la sola a possedere la nozione della giustizia, il sentimento della libertà, la concezione del bello. […] Dai primi giorni della storia vediamo l’Ariano in lotta con il Semita. Il conflitto si perpetuò attraverso gli anni e quasi sempre è stato il semita ad essere il provocatore prima di essere il vinto. Oggi il semitismo si crede sicuro della vittoria […] All’invasione rumorosa è succeduta l’invasione silenziosa, progressiva, lenta […] Una sorta di presa di possesso dolce, una maniera insinuante di scacciare gli indigeni dalle loro case, dai loro impieghi, un modo morbido di spogliarli dapprima dei loro beni, poi delle loro tradizioni e infine della loro religione. […] Il Semita è mercantile, cupido, intrigante, sottile, furbo; l’Ariano è entusiasta, eroico, cavalleresco, disinteressato, franco, fiducioso fino all’ingenuità. Il Semita è un terrestre che non vede nulla al di là della vita presente; l’Ariano è un figlio del cielo agitato senza sosta da preoccupazioni superiori.

[…] I principali segni dai quali si può riconoscere l’ebreo restano dunque: quel famoso naso ricurvo, gli occhi che sbattono, i denti stretti, gli orecchi a sventola, le unghie quadrate invece che arrotondate come mandorle, il torso troppo lungo, il piede piatto, le ginocchia rotonde, la caviglia straordinariamente in fuori, la mano molle e sudata dell’ipocrita e del traditore. Spesso hanno anche un braccio più corto dell’altro. […] Per un fenomeno che si è constatato cento volte nel Medio Evo e che si è manifestato di nuovo nel momento del colera, l’Ebreo sembra godere nei confronti delle epidemie, di immunità particolari. Sembra che ci sia in lui una specie di peste permanente, che lo garantisce dalla peste ordinaria; egli è il vaccino di se stesso, e, in qualche modo, un antidoto vivente. Il flagello indietreggia, quando ne sente l’odore. L’Ebreo, in effetti, puzza. Fra i più facoltosi c’è un odore, fetor judaica, un tanfo che indica la razza e che li aiuta a riconoscersi fra loro.

 

Testo n.13 – Enzo Collotti

Enzo Collotti, Nazismo e società tedesca 1933-1945, Loescher, Torino 1982

Il nazismo stermina gli ebrei, ma prima ancora di loro si accanisce contro tutti gli avversari politici, dai comunisti ai socialdemocratici, ai democratici e ai liberali di tutte le tendenze; si accanisce contro gli elementi confessionali che non accettano la contaminazione con il paganesimo razzista; si accanisce contro i cosiddetti ‘asociali’ che rientrano nella gerarchia dei campi di concentramento, al pari degli omosessuali e delle prostitute, dei testimoni di Geova e degli zingari. Rispetto a tutti costoro l’ebreo ha il vantaggio di essere socialmente individuabile in modo più facile degli altri per la maggiore omogeneità della sua appartenenza ai diversi strati del mondo borghese; ha il vantaggio di essere additato al pubblico spregio sulla base di una letteratura razzista di diffusione a livello internazionale […] e anche di un’esperienza (quella della Russia zarista) che ha schiacciato la battaglia per l’emancipazione degli ebrei mettendo in circolazione la leggenda della cospirazione ebraica universale (il falso dei protocolli degli anziani di Sion). Il mito ariano non ha maggior credibilità del tentativo di costruire attraverso l’ebreo l’immagine esemplare del nemico.

 

Testo n.14 – Adolf Hitler

Cit. in A. De Bernardi, S. Guarracino, L’operazione storica, Edizioni Scolastiche, Milano 1987, III, 2, pp. 284-85

Tre fattori determinano sostanzialmente la vita politica di un popolo. In primo luogo il valore interiore di un popolo, continuamente ritrasmesso attraverso le generazioni come massa e patrimonio ereditario, un valore che subisce trasformazioni se il sangue del portatore di questo patrimonio, il popolo, si trasforma. E’ certo che determinati tratti del carattere, determinate virtù e determinati vizi nei popoli tornano a ripresentarsi fin quando la loro composizione sanguigna non si trasforma sostanzialmente. […] Dicevo che questi valori possono essere guastati. In periodi di decadenza delle nazioni possiamo constatare soprattutto altre due manifestazioni intimamente affini. La prima è la sostituzione del valore della personalità a opera di un concetto di livellamento quantitativo della democrazia. L’altra è la negazione dei valori del popolo, la negazione della diversità delle predisposizioni, della diversità del rendimento e via dicendo dei singoli popoli. Le due manifestazioni si condizionano o almeno si influenzano nello sviluppo reciproco. Internazionalismo e democrazia sono concetti inseparabili. […] Nel complesso ciò significa: non esistono valori nazionali innati, ma si manifestano al più momentanee differenze di educazione; ma fra negri, ariani, mongoli e pellerossa non esiste una differenza sostanziale di valori. Questa concezione […] nella sua estrema conseguenza conduce inevitabilmente […] a negare differenze di valore tra i singoli all’interno di un popolo.

 

Testo n.15 – Enzo Collotti

Enzo Collotti, Nazismo e società tedesca 1933-1945, Loescher, Torino 1982, pp. 295-296

Le premesse fisiche e legislative dello sterminio sono già nei principi eugenetici del 14 luglio 1933, la legge sulla sterilizzazione, che è in assoluto il primo atto pubblico e programmatico che preannuncia l’assassinio di Stato. La repressione imperversa immediatamente, non è solo strisciante. Le legge sui masi ereditari del 29 settembre 1933, nel momento stesso in cui prefigura una struttura di proprietà contadina indivisa come ossatura di una stabile struttura sociale, realizza il legame tra terra e razza, escludendone chi non appartiene al sangue tedesco. La legge non opera una riforma agraria, non colpisce il latifondo, ma privilegia la formazione di un ceto la cui superiorità politica e sociale si identifica anche nel suo valore razziale. Un caso concreto in cui la presunzione di superiorità degli appartenenti al sangue germanico si trasforma automaticamente nel privilegio sociale. Le leggi di Norimberga del 1935 (la legge che priva gli ebrei della cittadinanza tedesca e la legge per la difesa del sangue e dell’onore tedesco) rappresentano il momento della codificazione sistematica della discriminazione e della volontà di dissociare gli ebrei dal corpo della nazione tedesca, generalizzando il principio dell’epurazione per motivi razziali oltre che politici dei pubblici funzionari già contenuto nella legge sul riordino della burocrazia del 7 aprile 1933. Lo scioglimento d’autorità dei matrimoni tra ebrei e cittadini tedeschi – ché una simile distinzione era la conseguenza della legge sulla cittadinanza – e il divieto di rapporti sessuali tra le medesime categorie prefiguravano la volontà di incidere anche nella sfera dei rapporti privati con carattere preventivo e a un tempo repressivo. E’ dubbio in quale misura il Reich intendesse favorire la volontaria emigrazione degli ebrei attraverso la pressione derivante da queste e altre vessazioni. Certo, quando più tardi, nell’ottobre 1938, si pervenne anche al ritiro dei passaporti tedeschi per gli ebrei, la situazione si fece ancor più difficile per gli stessi ebrei che intendevano emigrare.

[…] Un’ordinanza del 17 agosto 1938 stabiliva che gli ebrei dovessero assumere prenomi indicanti chiaramente la loro appartenenza razziale: gli uomini Israele e le donne Sara. […] Nel novembre 1938 gli ebrei ebbero il divieto di frequentare le scuole tedesche; poco dopo dalle università tedesche furono espulsi i residui docenti e funzionari ebraici. Agli ebrei fu ritirata la patente di guida (3 dicembre 1938). Ma gli ebrei non potevano neppure apparire in pubblico: a Berlino fu precluso loro l’ingresso ai musei, ai teatri, ai cinematografi, alle sale di concerto, alle manifestazioni sportive, ai bagni pubblici e privati; l’accesso a determinate piazze e vie della città non poteva essere loro consentito; si affermava già il principio di ghettizzazione nei loro confronti prima ancora che, allo scoppio della guerra, fosse imposto il coprifuoco per gli ebrei (1 settembre 1939) Gli ebrei come nemici dipinti dalla propaganda diventavano l’immagine vivente del nemico anche nella realtà. Si cominciò con il sequestro degli apparecchi radio degli ebrei (29 settembre 1939), indipendentemente dal fatto che essi ascoltassero radio nemiche[…] agli ebrei non dovevano essere distribuite tessere di razionamento per vestiti né per generi di riscaldamento (6 febbraio 1940); gli ebrei di Berlino potevano acquistare generi alimentari soltanto in un’ora determinata, tra le 4 e le 5 del pomeriggio (4 luglio 1940). Dopo l’imposizione della stella gialla come simbolo esteriore del nemico, emblema della demonizzazione (9 settembre 1941), le chicanes ai danni degli ebrei non conobbero più limiti. All’aprirsi del 1940 ebbero inizio le deportazioni degli ebrei dalla Germania nei territori occupati dell’Est, nei territori ex-polacchi. Nel marzo 1942 fu prescritto che anche le abitazioni degli ebrei dovevano recare il marchio della stella gialla, poco dopo fu vietato agli ebrei l’uso dei trasporti pubblici, gli ebrei non potevano neppure ricevere stampa per posta. Il 10 gennaio 1942 fu fatto obbligo agli ebrei di consegnare le pellicce e gli indumenti di lana in loro possesso.

[…] Il 20 gennaio 1942 la conferenza di Wannsee aveva dato il via allo sterminio fisico degli ebrei in tutta l’Europa occupata, alla ‘soluzione finale’, che comportava la concentrazione prima nei ghetti, il loro smistamento successivamente nei campi, che il più delle volte erano veri e propri campi di sterminio.

 

Testo n.16 – Il manifesto della razza

Cit. in Il fascismo, a cura di G. Bonfanti, La Scuola, pp. 247-48

  1. Le razze umane esistono. La esistenza delle razze umane non è già un’astrazione del nostro spirito ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti, di milioni di uomini, simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori e inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.
  2. Esistono grandi razze e piccole razze. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistono gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.)individualizzati per un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.
  3. Il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso è quindi basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche e religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno le differenze di razza. Se gli italiani sono differenti dai francesi, dai tedeschi, dai turchi, dai greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia infine che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
  4. La popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana. Questa popolazione di civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L’origine degli italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell’Europa.
  5. E’ una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo l’invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della Nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l’Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i 44 milioni di italiani di oggi rimontano quindi nell’assoluta maggioranza a famiglie che abitano in Italia da un millennio.
  6. Esiste ormai una pura ‘razza italiana’. Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico linguistico di popolo e di nazione, ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione Italiana.
  7. E’ tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre, nei discorsi del Capo, il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche e religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico. Questo non vuol dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono, o affermare che gli italiani e gli scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extraeuropee; questo vuol dire elevare l’italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
  8. E’ necessario fare una netta distinzione fra i mediterranei d’Europa (occidentali) da una parte, gli orientali e gli africani dall’altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l’origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche, stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
  9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori del ricorso di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia, perché essa è costituta da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani.
  10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo. L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee, nel qual caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono a un corpo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extraeuropea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.

 

 

 

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