La meccanica quantistica

Lavoro effettuato dagli alunni della 5A a.s. 2016/2017

Eleonora Garzillo, Alessio Gazzara, Giuseppe Lanzuise, Antonio Marano, Francesca Matteo, Annalisa Mazzanti, Alessia Trodelli, Chiara Viglietti

 

INTRODUZIONE (Eleonora Garzillo)

La meccanica quantistica nasce nel ventesimo secolo come teoria fisica per spiegare le incertezze della meccanica classica del periodo e nello spiegare fenomeni/proprietà come la radiazione di corpo nero, l’effetto fotoelettrico, il calore specifico dei solidi, gli spettri atomici, la stabilità degli atomi. I primi esperimenti si concentrarono sul comportamento delle particelle della luce e sul postulare l’esistenza di livelli discreti di energia. Essa si distingue dalla meccanica classica in quanto quest’ultima permette di conoscere precisamente le caratteristiche fisiche di un corpo quali posizione e velocità, mentre quella meccanica si limita a esprimere la probabilità di ottenere un dato risultato da una certa misurazione. Questo nuovo modo di interpretare i fenomeni è stato oggetto di numerose discussioni all’interno della comunità scientifica. Le basi della meccanica quantistica furono poste dal fisico tedesco Max Planck il quale, nel 1900, ipotizzò che l’energia venisse emessa o assorbita dalla materia sotto forma di piccole unità indivisibili chiamate appunto quanti. Fondamentale per lo sviluppo della teoria è stato inoltre il principio di indeterminazione formulato nel 1827 dal fisico tedesco Werner Heisenberg, secondo il quale, come vedremo, la posizione e il momento di una particella subatomica non possono essere determinati contemporaneamente. In particolare, la meccanica quantistica ci ha dato la possibilità di conoscere:

  • Ciò che determina che cosa si manifesta (attualizza) è l’osservazione/interazione.
  • Niente può essere certo, tutto è solo più o meno probabile e/o possibile.
  • La Materia è fatta sia di energia, sia di particelle, sia di onde, sia di niente, tutto insieme.
  • E’ impossibile isolare/separare un sistema da chi lo osserva (e dal resto della realtà).
  • Lo spazio e il tempo sono relativi a chi li vive localmente.
  • Una struttura della materia può condizionare il comportamento di un’altra struttura della materia istantaneamente e a qualsiasi distanza nello spazio (entanglement).
  • La coscienza e il pensiero umano vanno considerate come entità fisiche.

 

CONTESTO STORICO (Eleonora Garzillo)

Per quanto riguarda lo sviluppo della teoria della meccanica quantistica, gli Stati Uniti avevano ancora un ruolo marginale, il Giappone era sostanzialmente appena entrato a far parte della comunità scientifica internazionale e la Russia era ancora alle prese con i postumi della rivoluzione di ottobre. Per tutti questi motivi la meccanica quantistica può essere considerata una teoria prettamente europea, anzi, nord europea. Facendo un tuffo nel passato fino al 1925: la prima guerra mondiale è finita da poco più di sei anni e l’Europa si sta lentamente riprendendo dalle terribili devastazioni che essa ha comportato, sia in termini materiali che, soprattutto, in termini di vite umane Per i paesi vincitori (Francia, Inghilterra) il peggio è alle spalle: l’economia si sta riprendendo e i sommovimenti politici e sociali che avevano caratterizzato un po’ dappertutto l’immediato dopoguerra (anche per via dell’enorme influenza esercitata dal successo della rivoluzione russa) sono stati contenuti senza ripercussioni durature. La Germania del dopoguerra si ritrova in condizioni economiche gravose e sul piano politico cerca di arrivare a una normalizzazione dei rapporti con la Francia.Dal punto di vista della ricerca fisica l’Italia è per il momento completamente fuori dalla mappa, e ci rimarrà ancora per qualche anno.

 

PLANCK (Chiara Viglietti)

Uno dei problemi emersi nella seconda metà dell’Ottocento, e non ancora risolto, aveva a che fare con l’energia termica, a volte detta «radiazione di corpo nero»: la radiazione prodotta da un forno caldo, o dal riscaldamento di qualcosa nel fuoco. Se si prende un comune ferro da stiro, la cui temperatura a caldo è circa 150 gradi centigradi, e lo si avvicina al viso,si può sentire che emana calore: emana radiazione infrarossa. Se si prende un pezzo di ferro e lo riscaldo ancora di più, emetterà molto più calore e assumerà un colore rosso spento. Se si continua a scaldarlo, il pezzo di metallo cambia colore: prima arancione, poi giallo, poi bianco, e infine bianco-bluastro, diventando sempre più brillante. È questo il fenomeno della radiazione termica, che all’epoca gli scienziati non erano ancora in grado di comprendere. Erano note alcune leggi empiriche dettagliate, che descrivevano ciò che si osservava, ma non si era stati in grado di derivare una formula che spiegasse i cambiamenti di colore degli oggetti riscaldati, e l’aumento della quantità di energia emanata da un oggetto via via che diventa più caldo. La formula non arrivò fino al 1900, anno in cui fu elaborata da un fisico tedesco di nome Max Planck.

Planck fece molti tentativi, modificò ingegnosamente le equazioni di Maxwell, ma basandosi sulle teorie esistenti non riusciva ad arrivare a una formula. Per giungere a un risultato dovette ipotizzare che la radiazione elettromagnetica venisse emessa in pacchetti indivisibili, che chiamò «quanti» (quantità di energia discreta). Eˋ questa l’origine dell’espressione «meccanica quantistica». Possiamo fare un paragone con la spesa: non si possono comprare 2,6 litri di latte, o 1,2 litri di latte: si può solo comprare mezzo litro, un litro, due litri ecc., ma sempre in quantità pari a un certo multiplo di una quantità definita. Planck dovette fare una supposizione analoga, secondo la quale la luce è emessa in pacchetti, le cui dimensioni variano in ragione della frequenza della luce: quindi, un pacchetto di luce rossa trasporta meno energia di un pacchetto di luce violetta. Questa ipotesi appariva completamente folle ai tempi, ma grazie a essa Planck elaborò una formula che funzionava alla perfezione, anche se era stato obbligato a uscire dal dominio della fisica classica e aveva dovuto introdurre una nuova costante fisica di cui nessuno aveva mai sentito parlare, in seguito chiamata «costante di Planck». Viene indicata con la lettera ‘h’ e ha un valore pari:

                                                                       h=6,626×10^4 J.s

                                                                                   E=hv

Il risultato raggiunto da Planck rimase ancora a lungo fonte di sconcerto per i fisici, e si iniziò a comprenderlo un po’ meglio quando entrò in scena Einstein, nel 1905. Com’è noto, il 1905 fu un anno miracoloso per Einstein, che in quell’anno diede contributi di eccezionale importanza per la fisica, e uno di questi aveva a che fare proprio con il risultato di Planck.

 

EINSTEIN (Alessia Trodelli)

Einstein, affascinato dal lavoro di Planck, cercò di capirlo più nei dettagli. Scoprì innanzi tutto che la derivazione della formula operata da Planck era incompleta: mancava un passaggio, che richiedeva non solo che la luce fosse emessa e assorbita in pacchetti discreti, ma anche che viaggiasse in pacchetti. La luce consisterebbe quindi in pacchetti di energia, in corpuscoli. Einstein aveva chiuso il cerchio. Newton sosteneva che la luce fosse composta da particelle; Maxwell era convinto che fosse composta da onde. Einstein affermò che la luce si comportava a volte come un insieme di onde, e a volte come un insieme di particelle. Ciò sembrò totalmente folle. È impossibile dare un’ interpretazione secondo il pensiero della meccanica classica. Anzi, è l’idea stessa di discutere se la luce sia fatta di particelle o di onde, che è priva di senso, perché «particella» e «onda» sono parole che abbiamo imparato come esseri umani che hanno esperienze umane, ma nel mondo dell’infinitamente piccolo le nostre parole comuni non hanno nessun senso. La luce, questa è la verità, non è una particella, e non è fatta di onde. La luce è luce: a volte si manifesta come un’ onda, a volte come una particella

L’effetto foto elettrico: Einstein sosteneva che la luce si può comportare sia come una particella sia come un’ onda, a seconda dei casi presi in considerazione. Il comportamento particellare della luce servì ad Einstein per spiegare il cosiddetto «effetto fotoelettrico». Era noto che la luce, in particolare la luce ultravioletta, quando colpisce un metallo ne fa scaturire degli elettroni, ed Einstein cercò la causa di questo fenomeno. Quando un quanto di luce, chiamato «fotone», penetra in un metallo, può cedere la sua energia a un elettrone, e quell’ elettrone allora uscirà, portando con sé l’energia del fotone diminuita del costo di estrazione dell’elettrone dal metallo. Einstein dedusse che, aumentando la frequenza della luce, l’energia dell’elettrone che esce aumenta in proporzione: se la frequenza fosse inferiore al costo di estrazione dell’elettrone, la luce non dovrebbe produrre elettroni. Infatti, la luce visibile che colpisce un pezzo di ferro o di stagno non produce elettroni. Invece la luce ultravioletta, che ha una frequenza più alta, genera elettroni. La teoria ondulatoria della luce non riusciva a spiegare l’«effetto fotoelettrico» perché, secondo i suoi principi, la luce di qualsiasi frequenza dovrebbe produrre elettroni: anche la luce rossa, se fosse sufficientemente intensa. Invece questo non accadeva. Per produrre elettroni si doveva aumentare la frequenza, non l’intensità. Nel 2009 un’applicazione pratica dell’effetto fotoelettrico ha fatto vincere il Nobel per la fisica ai due inventori del sensore che sta alla base anche delle macchine fotografiche digitali: la luce che colpisce questo sensore produce elettroni, che vengono usati per creare un’immagine digitale. Nel 1905 nessuno comprese Einstein, ma di lì a poco fu chiaro che la luce si comporta come una particella in molte circostanze, non solo nell’ effetto fotoelettrico. Un fisico americano, Arthur Compton, riuscì a osservare la diffusione della luce da parte degli elettroni, e vide che questo fenomeno si produceva in modo simile all’urto delle palle da biliardo: se si capisce che cosa succede quando una palla da biliardo ne colpisce un’ altra, si capisce anche cosa succede quando un fotone colpisce un elettrone. E questo esperimento era perfettamente in accordo con la tesi di Einstein, che la luce in molte circostanze si comporta come se fosse costituita da particelle.

 

BOHR (Alessio Gazzara)

Copenhagen 6 marzo 1913 “Caro prof. Rutherford Mando allegato il primo capitolo del mio lavoro sulla costituzione degli atomi. Spero che i prossimi capitoli seguano entro alcune settimane. […] Ho tuttavia alcune difficoltà a mettere tutto assieme nello stesso tempo, e sarò estremamente felice ad avere il lavoro pubblicato nel minor tempo possibile, dato l’accumularsi di pubblicazioni sull’argomento […] per cui le sarò estremamente grato se lei gentilmente comunicherà per me il presente primo capitolo al Phil. Mag. […] Spero che lei trovi che io ho individuato un ragionevole punto di vista sulla delicata questione dell’uso simultaneo della vecchia meccanica e delle nuove assunzioni introdotte dalla teoria della radiazione di Planck. Sono veramente ansioso di sapere cosa lei possa pensare di tutto questo […] Molto sinceramente suo Niels Bohr“.
Il “primo capitolo” allegato da Niels Bohr a questa lettera apre il suo fondamentale lavoro “sulla costituzione degli atomi e delle molecole”, che la rivista Philosophical Magazine pubblicherà in tre parti, a luglio, settembre e novembre 1913. L’importanza di questo lavoro nella storia della scienza è difficilmente sopravvalutabile: trasformerà l’atomo da immagini speculative contrastanti in un’entità fisica ben definita, punto di partenza per un vastissimo programma di ricerca, collocherà in un contesto preciso gli studi sulla radioattività, indicherà percorsi operativi alla fisica e chimica molecolare, rivoluzionerà la teoria della radiazione e darà una svolta significativa alla teoria dei quanti, con la quantizzazione di sistemi materiali singoli e introducendo il principio di corrispondenza. Il suo obiettivo era cercare di risolvere i due problemi sorti in precedenza: perché tutti gli atomi di idrogeno hanno le stesse dimensioni? E perché un atomo di idrogeno è stabile? Bohr si rese conto che la fisica classica non poteva risolvere questi problemi, e fu quindi costretto a fare appello all’interpretazione particellare della luce di Einstein, e a elaborare alcune regole particolari per comprendere quali fossero le orbite degli elettroni. L’ipotesi formulata da Bohr era che il momento angolare dell’elettrone (in altre parole, la misura di quanto sta girando intorno al protone) dovesse essere uguale a un multiplo intero della costante di Planck. Bohr riuscì così a spiegare perché tutti gli atomi di idrogeno hanno le stesse dimensioni. E anche perché l’atomo di idrogeno è stabile e l’elettrone non finisce per cadere sul protone. Bohr spiegò inoltre lo spettro di emissione dell’atomo di idrogeno. Si sapeva da molti anni che ogni elemento chimico può vibrare in un certo numero discreto di oscillazioni, emettendo luce in alcune frequenze e non in altre. Se, per esempio, si butta un po’ di sodio nel fuoco, come quando da una pentola trabocca l’acqua salata (il sale da cucina è cloruro di sodio), il sodio diventa giallo, perché alcune sue linee spettrali caratteristiche sono gialle. Dell’idrogeno si sapeva che aveva cinque linee spettrali, ed esse soddisfacevano la formula derivata da Bohr: una formula piuttosto semplice, che però nessuno si sapeva spiegare. Bohr infatti era riuscito a dare conto di tutte le proprietà dell’idrogeno sulla base di alcune regole, la cui unica giustificazione era che funzionavano. Ci vollero altri tredici anni prima di arrivare a una loro comprensione. Einstein era entusiasta di questa nuova teoria di Bohr, perché spiegava non solo lo spettro dell’atomo di idrogeno, ma anche di quello dell’elio ionizzato, che in una stella lontana produceva linee spettrali che prima nessuno era stato in grado di capire.

 

DE BROGLIE (Antonio Marano)

Subito dopo l’epico lavoro di Bohr del 1913, anche un giovane francese si dedicò allo studio di questi problemi. Era un francese di sangue reale, il principe Louis de Broglie, che nella sua tesi propose una congettura affascinante. Disse che se Einstein aveva sostenuto e dimostrato al mondo che la luce si può comportare come un insieme di particelle, non doveva allora essere vero che anche le particelle, gli elettroni per esempio, a volte si dovessero comportare come onde? Se questa idea fosse vera, ragionò de Broglie, dovrebbe essere possibile verificarla cercando figure di interferenza, simili a quelle prodotte dall’incontro di onde di luce o di acqua provenienti da direzioni diverse. Inviando un fascio di elettroni contro un cristallo, gli elettroni dovrebbero riflettersi, generando onde che in parte si esalterebbero a vicenda, e a volte si eliminerebbero, generando, appunto, una figura di interferenza. Gli esperimenti confermarono la supposizione: queste onde, che furono chiamate «onde di de Broglie» o «onde materiali», effettivamente esistevano. Anche alla materia potevano dunque essere associate proprietà ondulatorie! Arriviamo così alla creazione della meccanica quantistica, che si realizzò in modo indipendente nella testa di due geni nell’anno 1926.

 

HEISENBERG (Francesca Matteo)

Il saggio “Fisica e filosofia” di Heisenberg racconta il connubio tra due discipline solo apparentemente lontane. Heisenberg ricapitola i temi della fisica moderna, confrontandoli con le grandi intuizioni della filosofia, dai Presocratici a Cartesio e Kant, allo scopo di illustrare la teoria dei quanta. La teoria dei quanta, che inizia a essere formulata agli inizi del XX secolo, viene sviluppata in modo graduale; Il merito di Heisenberg è quello di aver introdotto il cosiddetto principio di indeterminazione, e di aver formulato, assieme al geniale amico Bohr, la celebre interpretazione di Copenhagen. L’impatto della scoperta dell’atomo e delle particelle elementari che lo compongono è già di per sé fortissimo; ciò che per molti anni si tenta di fare è misurare entità che la matematica può tentare di descrivere ma che i sensi non possono, in alcun modo, percepire. La sfida del subatomico, tuttora in corso, scuote per la prima volta, le stabili verità della fisica classica.Il nome di Werner Heisenberg è legato allo studio dell’atomo. L’atomo ha una storia antica, radicata nel pensiero filosofico, così come la fisica: nel libro, Heisenberg sottolinea la continuità tra filosofia e scienza lungo il corso dei secoli. Per esempio l’atomo viene concettualizzato per la prima volta nel pensiero di Democrito e Leucippo, e descritto come la minima quantità di materia, l’indivisibile. Dotati solo della proprietà dell’essere, gli atomi si muovono nel vuoto secondo una legge di necessità e, incredibilmente, con Heisenberg e la meccanica quantistica l’atomo e le particelle elementari diventano qualcosa di ancor più “astratto” rispetto alle unità di Democrito e Leucippo. Con il pensiero di Cartesio, il metodo del dubbio e la celebre formulazione cogito ergo sum danno un fondamento filosofico all’esistenza di Io, Mondo e Dio, concepite come entità separate. Tale separazione allontana definitivamente anche spirito e materia, res cogitans e res extensa. Quello che Heisenberg chiama “realismo metafisico” è la più rilevante delle intuizioni cartesiane, e ciò che ha maggiormente influenzato il pensiero scientifico nei secoli, cioè la dimostrazione dell’esistenza di una realtà oggettiva. Heisenberg si confronta poi con Kant, che, a suo avviso, opera una sintesi tra Empirismo e pensiero cartesiano. Considerando spazio e tempo come forme a priori dell’intuizione pura, e conferendo anche alla causalità il carattere dell’a priori, Kant sarebbe già stato smentito dalla fisica moderna. Il concetto di spazio‐tempo derivante dalle analisi di Einstein avrebbero distrutto la filosofia di Kant. Heisenberg riconosce proprio nell’inferenza di queste istanze, le difficoltà dei fisici di tradizione classica ad accettare le sue teorie. Ciò dimostra, per il fisico tedesco, quanto scienze e filosofia siano in realtà inestricabili: così come i filosofi greci potevano far derivare dal pensiero filosofico considerazioni di carattere scientifico per analizzare la realtà, anche i fisici moderni propongono, in effetti, una spiegazione della realtà che parte dal dato fisico per arrivare a una costruzione teoretica del mondo, che non è lontana dalla filosofia. Il discorso di Heisenberg mira perciò a difendere le posizioni della meccanica quantistica. Tutto ha inizio con la scoperta dell’atomo, o meglio, la concettualizzazione, da parte di Max Plank, di “pacchetti di energia”. I modelli della fisica per descrivere questa unità microscopica variano, e vengono proposti e riconsiderati più volte. Bohr teorizza poi l’esistenza dei salti quantici degli elettroni. Lo studio degli elettroni e della loro traiettoria intorno al nucleo avvia una nuova stagione per la fisica. L’impossibilità di osservare la realtà subatomica apre un problema epistemologico (epistemologia=Indagine critica intorno alla struttura logica e alla metodologia delle scienze) fondamentale per la fisica moderna, dimostrando, se non altro, l’inadeguatezza dei modelli della meccanica newtoniana nel proporre una descrizione, completa e oggettiva. Sottraendo alla fisica classica il momento fondamentale dell’osservazione della Natura, in questo caso quella atomica e subatomica, lo stesso concetto di oggettività delle leggi del mondo naturale comincia a sgretolarsi. Ed è proprio grazie a questa presa di coscienza inevitabile che Heisenberg può prendere le mosse per formulare il suo celebre principio di indeterminazione. Insieme a Bohr, lavorerà alla altrettanto celebre interpretazione di Copenhagen. Le due teorie getteranno le basi della meccanica quantistica, rivoluzionando definitivamente la fisica.
Le relazioni di indeterminazione furono pubblicate nel 1927, L’esito però è inaspettato: non potendo conoscere, in un dato momento e con assoluta certezza, la posizione o il momento di un elettrone è impossibile calcolare la sua traiettoria. Ciò che è possibile osservare è soltanto la quantità di energia emessa prima e dopo la misurazione. Nell’impossibilità di conoscere cosa accada prima e dopo la misurazione stessa, non possiamo descrivere le particelle subatomiche in maniera oggettiva, dal momento che non sappiamo come si comportino mentre non le stiamo osservando. Per queste ragioni, la traiettoria di un elettrone può solo essere attribuita a un delimitato range di probabilità, e lo scienziato deve abituarsi a ragionare per salti quantici. Heisenberg sottolinea che la meccanica dei corpi (macroscopici) non può aiutarci, e che, anzi, ogni modello ideale dell’atomo basato sul mondo macroscopico dovrebbe essere abbandonato in quanto fuorviante, dal momento che i sensi non potranno mai percepire le particelle elementari. L’interpretazione di Copenhagen, sistematizzata da Bohr e Heisenberg, stabilisce che la meccanica quantistica può descrivere i processi atomici solo in termini di funzioni di probabilità. Ma l’approdo sperimentale è ancor più radicale. Dal momento che la natura delle particelle elementari può essere descritta sia come corpuscolare sia come ondulatoria, le apparecchiature coinvolte nell’osservazione (come la lunghezza d’onda del fascio di luce con cui osserviamo, ad esempio) perturbano sempre il comportamento delle particelle osservate, alterando il loro comportamento definitivamente e invalidando il risultato dell’esperimento nel processo stesso di sperimentazione. L’osservazione è perciò sempre un’interferenza, che trasforma la realtà subatomica nell’atto stesso di osservarla. La meccanica quantistica spoglia le leggi fisiche dal carattere di esattezza per consegnarle al regno della possibilità. Secondo le teorie della meccanica quantistica è più corretto quindi affermare che esistano oggetti, processi o fenomeni che non conosceremo mai, o che eluderanno sempre la nostra comprensione.   Secondo il fisico tedesco, la fisica dovrebbe accantonare quindi la pretesa all’oggettività scientifica. È necessario che la fisica recuperi un contatto con i saperi filosofici. Non si tratta, secondo Heisenberg, di cancellare dalla storia Newton e le sue formulazioni, poiché esse sono adeguate a studiare il mondo macroscopico. Il vero errore sarebbe, invece, ostinarsi ad applicare un modello inadeguato al mondo microscopico, solo perché autorevole.

 

E OGGI COSA SI PENSA DEL PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE DI HEISENBERG? ( Antonio Marano)

Un articolo di Massimiliano Razzano presente sulla rivista ‘Le Scienze’ spiega come sia possibile aggirare il principio di indeterminazione di Heisenberg. Infatti afferma che potrebbe esserci una via per ricavare le variabili quali posizione e impulso di una particella simultaneamente pur non violando il principio di Heisenberg. Questo lo sostiene un gruppo dell’Università di Rochester in uno studio pubblicato su ‘Physical Review Letters’ secondo il quale la soluzione sarebbe una tecnica chiamata ‘compressive sensing’ che permette di estrarre le proprietà di un sistema anche in presenza di informazioni incomplete. Il compressive sensing già utilizzato in radioastronomia e nell’imaging a risonanza magnetica, sfrutta la possibilità di comprimere un segnale per recuperare le informazioni di un sistema a partire da poche misurazioni. Per dimostrare la fattibilità di tale metodo, gli studiosi hanno analizzato un sistema quantico composto da fotoni di un laser. Con il compressive sensing i ricercatori hanno potuto ricostruire la posizione dei fotoni dalle poche informazioni ricavate attraverso una serie di filtri aperti o chiusi in istanti causali. Questo metodo non viola il principio di indeterminazione perché usa in modo ottimale le informazioni a disposizione e può essere applicato non solo a posizione e impulso ma anche a coppie di invariabili coniugate come energia e tempo. Anche i fisici lo sanno: nel regno della meccanica quantistica anche i fenomeni più strani possono diventare realtà.

 

CONGRESSO SOLVAY A BRUXELLES: Einstein contro Bohr (Annalisa Mazzanti)

Come tutti gli esseri umani, anche i ricercatori discutono tra loro, a volte litigano, per difendere le proprie teorie e i propri risultati. Questa storia parla di un duello tra scienziati, forse il più importante e famoso della storia. Il duello di cui parliamo comincia nel 1927. Ventidue anni prima, nel suo annus mirabilisAlbert Einstein aveva rivoluzionato la fisica, introducendo idee davvero incredibili, come il fatto che lo spazio e il tempo potessero accorciarsi o allungarsi, o che la luce viaggiassero in pacchetti (in quanti) ben definiti chiamati fotoni. Le scoperte di Einstein e di altri hanno portato alla nascita di un nuovo tipo di fisica, detta fisica quantistica, che presto dimostra la sua solidità spiegando molti fenomeni sino allora incomprensibili. In soli 22 anni però la fisica quantistica arriva a conclusioni così stupefacenti da essere difficili da digerire anche per lo stesso Einstein, che pure aveva contribuito alla sua nascita. Secondo il principio di indeterminazione della fisica quantistica ogni oggetto è sia una particella che un’onda, e non è possibile determinarne la posizione e la velocità allo stesso tempo. Una conseguenza di ciò è che non si possono misurare certe cose oltre una data precisione, e particelle come elettroni o fotoni vanno considerate non come oggetti con una precisa posizione nello spazio, ma come semplici distribuzioni di probabilità. Einstein si mostra sin dall’inizio scettico riguardo queste conclusioni: è sicuro che ci sia qualcos’altro sotto, una teoria ulteriore che permetta di misurare tutto con assoluta precisione. Con queste idee, nell’ottobre del 1927 si reca al congresso Solvay a Bruxelles. Per dare un’idea del livello del congresso, basti dire che tra i 27 partecipanti ci sono 17 premi Nobel o futuri premi Nobel.
Tra i partecipanti, oltre ad Einstein, ci sono Schrödinger, Pauli, Heisenberg, Brillouin, Bragg, Dirac, de Broglie, Langmuir, Planck, Marie Curie, Langevin oltre a Niels Bohr, il fisico danese che aveva descritto per primo la struttura dell’atomo. E proprio tra Einstein e Bohr comincia una discussione che durerà vari giorni riguardo la validità del principio d’indeterminazione. Come spesso accade in questi casi, le discussioni più importanti non avvengono durante i seminari “ufficiali”, ma a tavola, mentre si mangia. Ogni mattina a colazione Einstein presenta a Bohr un esperimento immaginario, che sembra contraddire il principio di indeterminazione. Bohr lo studia fino a che riesce a controbattere la critica di Einstein, solo per trovare Einstein il giorno dopo pronto con un nuovo, diverso esperimento immaginario.
Uno degli esperimenti più astuti proposti da Einstein immagina di avere una scatola da cui in un preciso momento esce un raggio di luce. Pesando la scatola prima e dopo e sfruttando la relazione di Einstein che collega la massa all’energia: E=mc2 si può ottenere l’energia del raggio di luce emesso. Conoscendo l’energia del raggio e il momento esatto in cui è uscito, si riuscirebbe a contraddire il principio di indeterminazione.
E’ un esperimento davvero ben congegnato, e Bohr rimane sconvolto dalla sua apparente perfezione. Un’altro scienziato del congresso descriverà così la scena: “Fu un vero shock per Bohr, all’inizio, non riuscì a trovare una soluzione. Estremamente agitato, andò per tutta la sera da uno scienziato all’altro, provando a convincere tutti che non poteva essere, che sarebbe stata la fine della Fisica. Ma non riuscì a trovare nessuna soluzione per risolvere il paradosso. Non dimenticherò mai l’immagine dei due scienziati mentre lasciavano il club: Einstein, alto e autorevole, che camminava tranquillamente con un sorriso ironico e soddisfatto, e Bohr che gli trotterellava dietro, agitatissimo.” Bohr passò probabilmente una notte insonne temendo di aver preso il duello, ma il giorno dopo trova una soluzione sfruttando, paradossalmente, proprio la teoria della relatività di Einstein. In particolare, Bohr dimostra che la forza di gravità necessaria a pesare la scatola influenzerà anche, proprio secondo le teorie di Einstein, lo scorrere del tempo e quindi la misura dell’attimo esatto in cui la particella lascia la scatola.
Alla fine, Bohr vince il duello.                         Einstein continuerà per vari anni a provare a confutare il principio di indeterminazione; non riuscirà mai a convincersi che non sia possibile, per l’uomo, arrivare alla verità assoluta. I fatti dimostrano (per ora) che Einstein aveva torto.
Non dobbiamo immaginare però il dibattito tra Einstein e Bohr come un litigio tra due persone che vogliano avere ragione ad ogni costo, per non ammettere di aver sbagliato. I due si stimavano ed erano amici, ed ognuno di loro difendeva strenuamente la sua opinione non per amor proprio, ma per sete di conoscenza. Entrambi volevano, assolutamente, arrivare alla verità.
Ciò non toglie che, nella foga, essi cercassero con ogni mezzo di confutare le idee dell’altro. “Non posso credere nemmeno per un attimo” diceva Einstein “ che Dio giochi a dadi!”
“Piantala di dire a Dio che cosa fare con i suoi dadi.” rispondeva Bohr.

 

GATTO DI SHCRODINGER E L’ENTAGLEMENT (Giuseppe Lanzuise)
(con video)

Immaginando di lanciare una palla dritta in aria, si può semplicemente prevedere il moto della sfera dopo che si è separata dalla nostra mano. Essa giungerà ad un punto di altezza massima, dopodiché tornerà sulla nostra mano. E’ facile predire questo fenomeno poiché si vedono eventi del genere più volte al giorno che appartengono alla fisica dei fenomeni quotidiani. Saremmo in grado allo stesso modo di definire il moto di un elettrone attorno ad un atomo di idrogeno? Ovviamente no! Questo perché la fisica che regola il microscopico è profondamente diversa da quella che regola il mondo microscopico.Un fisico non amante dei gatti, Schrödinger, pone un gatto all’interno di una scatola con una bomba che ha il 50% di possibilità di esplodere. Fin quando non apriamo la scatola, non vi è alcuna possibilità di sapere se la bomba è esplosa o meno e quindi non abbiamo alcuna possibilità per sapere se il gattino è vivo o morto. Prima di osservare ed aprire la scatola, possiamo dire utilizzando i termini quantistici che il gatto si trova in uno stato di sovrapposizione, ovvero vi è il 50% di possibilità che sia vivo e il 50% di possibilità che sia morto.La stessa cosa accade nei sistemi su scala quantica, come un elettrone che orbita attorno ad un atomo di idrogeno. L’elettrone non sta realmente orbitando, è dappertutto nello spazio, tutto in un tempo. Vi è una maggiore probabilità di essere in alcuni punti piuttosto che in altri, ed è solo dopo una misurazione che possiamo affermare dove si trova l’elettrone in un tempo specifico, così come non sapevamo se il gatto fosse vivo o morto fin quando non apriamo la scatola.Questo ci porta allo strano e fantastico fenomeno dell’entaglement fisico. Supponiamo di avere non un gatto, ma ben due. Se ripetessimo l’esperimento del gatto di Schrödinger con due gatti, il risultato dell’esperimento può essere una delle quattro possibilità: entrambi i gatti vivi, entrambi morti oppure uno vivo l’altro morto e vice versa. Ogni risultato ha il 25% di possibilità, non più il 50%. La meccanica quantistica ci consente di eliminare i risultati in cui i due gatti siano entrambi vivi o entrambi morti. In altre parole vi sarà sempre un sistema di due gatti, all’interno del quale uno sarà vivo e l’altro morto. Questo perché i due gatti sono “legati” (entangled). C’è un aspetto veramente stupefacente del fenomeno dell’entaglement. Se si preparano due sistemi differenti con un gatto al loro interno in uno stato di entaglement ed in seguito si spostano ai due lati opposti dell’universo, il risultato dell’esperimento sarà ancora una volta lo stesso. Un gatto sarà sempre vivo, e l’altro sarà sempre morto anche se chi dei due gatti vive o muore è completamente indeterminabile prima di attuare un’osservazione del risultato. Come è possibile che lo stato dei due gatti che si ritrovano ad una tale distanza siano entangled, ovvero legati, in questo modo? Essi sono troppo lontani per comunicare nel tempo, ma di fatto sono legati in modo tale che la bomba in uno scatolo esploda e l’altra no. Sebbene questo sia un esperimento teorico, l’entaglement è visibile anche nel mondo reale ed è confermato da esperimenti realmente effettuati in laboratorio. Due particelle subatomiche sono legate in uno stato di sovrapposizione, se una ha lo spin, ovvero il senso di rotazione da un lato, l’altra avrà lo spin opposto. Questo accade anche quando non c’è alcun modo per consentire il passaggio di informazioni tra le due particelle subatomiche. Non è sorprendente di fatto che l’entaglement sia alla base della scienza quantistica delle informazioni, una crescente branchia che studia come utilizzare le strane leggi del mondo quantico per applicarle nel nostro mondo macroscopico, come nella criptografia quantica, utilizzata ad esempio dalle spie per inviare l’un l’altra in maniera sicura messaggi, oppure l’informatica quantica per craccare codici segreti. La fisica di ogni giorno inizia a somigliare sempre più alla strana fisica del mondo quantico, anche il teletrasporto quantico potrebbe progredire tanto da consentire al gatto di Schrödinger di fuggire in una galassia in cui non è costretto ad essere rinchiuso all’interno di uno scatolo con una bomba

 

ENTANGLEMENT (Alessia Trodelli)
(in inglese)

Il comportamento ondulatorio della materia previsto dalla meccanica quantistica è inoltre alla base di un altro sorprendente fenomeno, tipicamente quantistico, noto come entanglement (ovvero intreccio) che caratterizza gli stati quantici di sistemi fisici (microscopici) tra loro interagenti. Si può certamente affermare che l’entanglement quantistico rappresenta uno dei fenomeni più misteriosi, e tuttora sostanzialmente inspiegati, di tutta la fisica a tal punto che Erwin Shrödinger, uno dei padri fondatori della meccanica quantistica lo definiva il “tratto caratterizzante” della teoria quantistica e Albert Einstein non riuscì mai ad accettarlo fino in fondo tanto da ritenerlo la prova stessa che la meccanica quantistica fosse una teoria sostanzialmente inesatta (o quantomeno incompleta).In estrema sintesi, il concetto di entanglement è basato sull’assunzione che gli stati quantistici di due particelle microscopiche A e B (ma anche, in una certa misura, dei sistemi macroscopici) inizialmente interagenti possano risultare legati (appunto “intrecciati”) tra loro in modo tale che, anche quando le due particelle vengono poste a grande distanza l’una dall’altra, la modifica che dovesse occorrere allo stato quantistico della particella A istantaneamente avrebbe un effetto misurabile sullo stato quantistico della particella B, determinando in tal modo il fenomeno della cosiddetta “azione fantasma a distanza” (spooky action at distance). Secondo lo stesso Einstein, l’esistenza di una tale “interazione” a distanza metterebbe in seria crisi la nostra concezione di come la natura funziona, determinando conseguenze paradossali. Tale affermazione, come divenne chiaro molti decenni dopo, deve essere interpretata esclusivamente con riferimento alla Teoria della Relatività e non può essere ritenuta di validità generale. Nel 1964 il fisico John Bell ricava una disuguaglianza matematica (nota, appunto, come diseguaglianza di Bell) che quantifica il massimo grado di correlazione tra gli stati quantici di particelle spazialmente distanti nell’ambito di esperimenti in cui sono soddisfatte tre “ragionevoli” condizioni:

  1. gli sperimentatori hanno libero arbitrio nell’imporre le condizioni iniziali dell’esperimento;
  2. le proprietà delle particelle che vengono misurate sono reali e preesistenti e non emergono soltanto al momento dell’esperimento;
  3. nessuna interazione tra le particelle può avere luogo a una velocità maggiore di quella assunta dalla luce nel vuoto (che, in accordo con i postulati della Teoria della Relatività di Einstein, costituirebbe dunque un limite assoluto nell’Universo).

Ebbene, com’è stato provato nell’ambito d’innumerevoli esperimenti appositamente progettati ed eseguiti al fine di verificare la predetta diseguaglianza, la meccanica quantistica puntualmente viola la condizione imposta da quest’ultima, fornendo livelli di correlazione tra particelle lontane superiori rispetto a quelli occorrenti se la diseguaglianza di Bell fosse rispettata.Tale risultato pone innanzitutto un interrogativo di natura “filosofica”: è forse possibile che il comportamento del sistema fisico risulti in qualche maniera predeterminato, ossia indipendente dalla nostra possibilità di scegliere a piacimento le condizioni sperimentali, nel fornire il risultato ottenuto?
Oppure dobbiamo ritenere che le proprietà quantistiche misurabili delle particelle non siano “reali” (ossia inerenti la natura stesse delle medesime particelle) ma esistano “semplicemente” come risultato delle nostre percezioni (o più precisamente delle nostre misurazioni eseguite sul sistema fisico in questione)?
Se non siamo disposti a ritenere, com’è ragionevole che sia, che la realtà che sperimentiamo sia creata esclusivamente dalla nostra interazione con il mondo circostante all’atto della percezione o della misurazione, allora dobbiamo accettare la possibilità che l’interazione quantistica a distanza tra particelle intrecciate si trasmetta a una velocità superiore a quella della luce nel vuoto.

 

ENTANGLEMENT OGGI: RIVISTA ‘LE SCIENZE’ (Alessio Gazzara)

Come sappiamo Einstein non credeva all’entanglement: la bizzarra proprietà quantistica di oggetti microscopici, come atomi o fotoni,di “accoppiarsi” e influenzarsi a vicenda,per quanto lontani siano tanto da chiamarlo “la spettrale azione a distanza”. Secondo un articolo pubblicato sulla rivista “Le Scienze” a cura di Alex Saragosa,oggi l’entanglement ha applicazioni tecnologiche. Ricercatori dell’Istituto nazionale di ottica (INO-CNR) di Firenze e del LENS di Firenze,con colleghi sud-coreani e australiani,hanno pubblicato su Nature Photonics i risultati di uno studio in cui hanno accoppiato un fotone non a un altro oggetto microscopico, ma a un “macroscopico” impulso di luce laser. Come spiega Marco Bellini l’esperimento ricorda quello del gatto di Schrodinger: l’animale resta in uno stato indeterminato,né vivo né morto,finchè non si verifica lo stato del sistema,facendolo precipitare in un senso o nell’altro. Lo stesso avviene quindi per l’impulso laser,che attraversando un cristallo non lineare si accoppia a un fotone che esce,o meno,da un altro lato del cristallo. La fase della luce laser risulta indeterminata fino a quando non si verifica l’esistenza o meno del fotone entangled. Gli studiosi quindi rispondono positivamente riguardo il quesito sulla verifica dell’entanglement anche con oggetti non microscopici.

 

MECCANICA QUANTISTICA OGGI (Eleonora Garzillo e Chiara Viglietti)

La cosa però più sorprendente è che le scoperte della fisica quantistica si sono rivelate esatte, e hanno permesso la realizzazione di nuove tecnologie, tra le quali vi sono i semiconduttori che sono alla base di ogni dispositivo elettronico, la luce laser, i navigatori satellitari, la spettroscopia grazie alla quale è possibile indagare l’Universo, i computer quantistici e molto altro. Scoperte che hanno permesso inoltre di introdurre una nuova visione ed interpretazione della realtà, basata sul possibilismo anziché sul determinismo, nella quale è divenuto inappropriato cercare di produrre distinzioni tra osservatore e osservato, ma anche tra cause ed effetti, e dove i miracoli sono considerati fenomeni ordinari. Molta dell’economia mondiale moderna, attuale, si fonda su scoperte direttamente o indirettamente connesse con la fisica quantistica.

Se applichiamo le scoperte della fisica quantistica alla vita quotidiana, ci troviamo di fronte a nuovi scenari, molto diversi da quelli a cui siamo abituati. Si ritiene che una data cosa, che noi crediamo Se si potessero occultare i sensi con un metamateriale? L’esperimento è stato condotto in Germania in cui i ricercatori hanno sviluppato una particolare cavità in cui un oggetto può essere completamente nascosto al tatto. Il mantello è basato su un metamateriale un polimero con una struttura cristallina che si adatta alla forma dell’oggetto. E’ merito della struttura del meta materiale,con proprietà elasto-meccaniche che riesce a dirigere la forza del dito e a nascondere l’oggetto.   essere reale, prima di divenire tale, venga costruita con la partecipazione, in varia misura, non solo di tutti coloro che partecipano ad esperienze ad essa connesse, ma anche di tutta la realtà.

Tra i concetti utilizzati in fisica, abbiamo quello di interazione. Il concetto di interazione esprime la situazione in cui due o più elementi della realtà agiscono, direttamente o indirettamente, uno sull’altro. Un’implicazione pratica di questo aspetto è, per esempio, quella per cui quando una persona crede di avere subìto un’esperienza, unicamente a causa di un’altra persona, entrambi abbiano in realtà, consapevolmente o inconsapevolmente partecipato in modo attivo alla creazione di quell’esperienza, da ancora prima che venisse vissuta, ed entrambi ne siano responsabili. Un’altra implicazione è quella per cui ciò che una persona pensa di un’altra, finisca per influire sul comportamento di quest’ultima. Ancora, altre implicazioni sono che immaginando di vivere una certa esperienza, si contribuisca attivamente a produrla, o che credendo ai miracoli, si contribuisca a renderli possibili e molto altro.

 

IL MANTELLO DELL’INVISIBILITA’ AL TATTO:RIVISTA ‘LE SCIENZE’ (Antonio Marano)

Immaginiamo di poter occultare la relatà con un metamateriale. Molte ricerche sono state effettuate in Germania arrivando a mettere a punto “un mantello dell’invisibilità” in grado di nascondere gli oggetti al tatto. Il meta materiale è un polimero con struttura cristallina che si adatta alla forna dell’oggetto e dirige la forza del dito affichè l’oggetto sia nascosto grazie alle proprietà elasto-meccaniche.

 

FILOSOFIA E MECCANICA QUANTISTICA (Annalisa Mazzantti)

Sono migliaia di anni che il Filosofo sa che la rappresentazione che abbiamo nel nostro cervello non è la Realtà e da qualche decennio lo sanno anche il Fisico ed il Biologo.
Il piano dell’esistenza MACROSCOPICO in cui viviamo è costituito da atomi che sono oggetti inconoscibili che “emergono” da una Realtà più profonda, quasi sconosciuta, il MICROCOSMO.Gli atomi emettono Radiazione Elettromagnetica, una perturbazione dello Spazio-Tempo la cui natura è ondulatoria.
Gli esseri viventi di questo pianeta percepiscono solo una minima parte di questa Radiazione, compresa in un ristretto intervallo di lunghezze d’onda.
Questa minima parte colpisce la retina, in fondo all’occhio e delle cellule specializzate (i coni ed i bastoncelli) la trasformano in deboli impulsi elettrici.
Questi impulsi elettrici attraversano un sottile filo, il nervo ottico, e giungono in una certa zona del cervello.
In questa zona il nostro cervello genera quelle immagini che noi chiamiamo realtà. I dati caotici che riceviamo, li ordiniamo secondo due “Categorie”, lo Spazio ed il Tempo, che non esistono nella realtà, ma che servono solo a creare il nostro mondo illusorio.
Si badi bene che anche la percezione del nostro corpo, e quindi anche del nostro cervello, rientra in questa rappresentazione illusoria.
Questo stato di fatto provoca la credenza dell’esistenza di un “io individuale” separato da un “mondo esterno”, mentre in realtà entrambi fanno parte di un’unica rappresentazione.
Basta fermarsi a riflettere un poco per rendersi conto che siamo prigionieri in una rappresentazione mentale dalla quale è impossibile uscire: come diceva il grande Filosofo Leibniz, siamo Monadi senza porte e senza finestre. Se meditiamo con un po’ di attenzione, ci rendiamo subito conto che non vi è nulla di esterno alla nostra mente. L’ “io individuale” ed il “mondo esterno” sono solo due poli di un’unica realtà mentale.
Lo studio della meccanica quantistica ha portato ad una variazione anche dal punto di vista filosofico e religioso, dovendo accettare che è l’osservatore a determinare la natura dell’osservato. Le particelle che costituiscono gli atomi, sono costituite da piccolissimi “quanti” di energia che hanno una DUPLICE NATURA: ondulatoria e corpuscolare. Tutte le osservazioni a livello subatomico hanno confermato che le particelle materiali hanno tutte le caratteristiche delle onde, ma, all’atto dell’osservazione, presentano un comportamento corpuscolare. A causa di queste scoperte si inizia a considerare la materialità come una caratteristica creata dall’osservatore stesso. Solo l’atto di “osservare”, compiuto da un essere cosciente, è in grado di trasformare una “probabilità di esistenza” in una esistenza vera e propria, una delle tante esistenze possibili.
Non esisterebbe dunque una realtà oggettiva, ma solo una realtà creata di volta in volta dalle osservazioni dell’uomo. In un oceano di probabilità, l’osservatore crea la sua realtà. Il problema principale che incontriamo nel comprendere le ultime scoperte della Fisica è che la nostra rappresentazione della Realtà è basata sui cinque sensi e, soprattutto, sulla vista ed il tatto: quando ci riferiamo a protoni, neutroni, elettroni, fotoni, neutrini eccetera, non possiamo fare a meno di immaginarli come “palline microscopiche materiali” e non vi è niente di più falso: la realtà sottostante al nostro mondo macroscopico contiene tutte le infinite possibilità di esistenza, una delle quali “viene alla luce” laddove esista un “osservatore”.

 

RELIGIONE E MECCANICA QUANTISTICA (Chiara Viglietti)

Le scoperte degli ultimi secoli portano enormi stravolgimenti, per tentare di conciliare il pensiero dei grandi filosofi con le meravigliose scoperte della Fisica moderna, si potrebbe considerare l’esistenza un’unica Realtà che, usando il linguaggio del grande Filosofo Spinoza, definita “Sostanza”, con queste proprietà:

  • La Sostanza, ente immutabile, unico realmente esistente, è tutto ciò che esiste. Non esiste nulla al di fuori della Sostanza.
  • La sostanza è “Causa Sui”, causa di se stessa, nessuno ha creato la Sostanza, in quanto non esiste nulla se non la Sostanza.
  • La Sostanza è il substrato di tutte le cose, realtà apparenti, diversamente rappresentate in infiniti piani della realtà, uno dei quali è quello umano.

Tutti gli Universi possibili, con la loro immensità, le galassie, le stelle, i pianeti, gli esseri viventi e non, sono solo un aspetto in cui si mostra la Sostanza in uno degli infiniti piani di esistenza in essa concepibili: dunque “accidenti” che necessitano della presenza di un osservatore nello stesso piano di esistenza.Dice il Filosofo Nicola Abbagnano: “Consideriamo il mare e le onde. Le onde sono una realtà effimera rispetto al mare. Il mare esiste sempre, le onde nascono e muoiono. Noi possiamo immaginare la Sostanza come il mare. Le cose, le persone, gli animali sono le onde: nascono, muoiono e tornano alla Sostanza. Il mare esiste anche senza le onde. Le onde hanno bisogno del mare per esistere”.Si noti che, in questa nuova visione della realtà, il termine “Creazione” diventa privo di qualsiasi significato: l’esistente esiste di per se, è causa di se stesso, non esiste nulla al di fuori di lui. Dal punto di vista religioso, si può identificare Dio con la Sostanza descritta, proprio come fece Spinoza che visse nel XVII° secolo e fu accusato di eresia a causa delle sue posizioni riguardo l’interpretazione della Bibbia. Fu espulso dalla comunità ebraica alla quale apparteneva ma riuscì in Olanda, paese liberale, a crearsi una cerchia di sostenitori.Ma certo non si può trattare del Dio delle Religioni semitiche (Islam, Cristianesimo ed ebraismo), al contrario le scoperte della Meccanica Quantistica ci portano ad una visione della Realtà sempre più vicina a quella del Buddhismo e dell’Induismo, soprattutto nella sua forma dell’Advaita Vedanta (principale scuola induista).Queste due Filosofie aggiungono però anche un ulteriore elemento: la possibilità per l’uomo di sfuggire definitivamente dalla prigione del suo mondo illusorio mentale e di ricongiungersi alla Sostanza primordiale.

RIFERIMENTI:
– FILM : ‘’A SERIOUS MAN’’;
– ARTE: ‘’DOLORE’’ di MUNCH

 

REALIZZATO DA:
GARZILLO ELONORA, GAZZARA ALESSIO, LANZUISE GIUEPPE, MARANO ANTONIO, MATTEO FRANCESCA, MAZZANTI ANNALISA, TRODELLI ALESSIA, VIGLIETTI CHIARA

La meccanica quantistica

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